Molto spesso, parlando con le persone dell’opera lirica, mi è capitato di sentirmi dire che non si erano mai appassionati al genere perché non riuscivano a capire il testo. Effettivamente ricordo che anch’io all’inizio facevo fatica ad afferrare le parole, perché a questo tipo di voce così proiettata, diciamo “impostata”, bisogna fare un po’ l’orecchio. Successivamente mi accorsi che in generale i cantanti delle generazioni più vicine a me erano un pochino meno comprensibili dei loro predecessori. Dietro indicazione di un caro maestro che, vista l’età, aveva ascoltato dal vivo i grandi del passato, cominciai ad ascoltare registrazioni vecchiotte, anni ’20, ’30, ’40. Superato l’iniziale fastidio per i fruscii e le strane sonorità dovuti ai mezzi di registrazione poco sofisticati, mi accorsi subito però che questi cantanti avevano delle voci trillanti, molto modulate, chiare, squillanti e… parlanti! Capivo tutto; anche quando cantavano sugli acuti si sentiva che vocale stessero dicendo. Il testo arrivava, sostenuto dalla melodia composta ad arte, e scolpiva nella mia mente il senso del tormento o della gioia del personaggio, facendo brillare l’interprete nel cantante. Si, perché il canto è unione di suono e parola, dono unico della voce umana, che può essere modulata in infinite forme sonore, esprimendo anche i più sottili impulsi dell’animo dell’artista. La ricchezza timbrica di una voce è dovuta anche alle diverse vocali che hanno infinite possibilità di variazione, all’accento che si può dare per mezzo delle consonanti dette in un certo modo, con dolcezza oppure con mordente per scolpire le frasi musicali.
Naturalmente anche nei cantanti moderni, me compresa, c’è la ricerca della pronuncia schietta e comprensibile, però un insegnamento specifico su questo aspetto tecnico non mi era mai stato prospettato. Più che altro mi parlavano di “posizione” dei suoni e così mi sono ritrovata ad affrontare questo problema direttamente sulle tavole del palcoscenico! Per fortuna, essendo risultata vincitrice di concorsi che accompagnavano al debutto di un’opera, ho potuto contare sull’aiuto di direttori d’orchestra e maestri di spartito pazienti e competenti, che mi fecero notare quanto dovessi ancora lavorare su questo aspetto.
Alla fine ho cominciato a capire come funziona il delicato rapporto tra parola e fiato. Se si pronuncia correttamente, senza irrigidire la muscolatura implicata nel parlato (soprattutto lingua, mandibola, palato molle), l’apparato respiratorio viene sollecitato a fare da mantice per mantenere la corretta fonazione e altezza dei suoni. Si tratta di capire qual è il meccanismo naturale del parlato per non alterarlo nel cantato, tenendo presente che serve molta più energia dal fiato; bisogna imprimere al flusso dell’aria una pressione assai maggiore rispetto al parlato; inoltre ci vuole una maggiore ampiezza di pronuncia, soprattutto salendo verso la zona acuta. Il perfetto ingranaggio del sistema fiato/corde vocali/parola, si bilancia piano piano, se ci si ricorda sempre di parlare cantando. Se ci si concentra solo sul suono e su una sua presunta “posizione”, si rischia di irrigidire e bloccare la vibrazione delle corde vocali, la parola e lo scorrere del fiato, perdendo quella sensazione di libertà e leggerezza che la voce deve assolutamente mantenere.
Come si può immaginare, non è un lavoro di un giorno; la difficoltà maggiore sta nel mettere sotto il controllo cosciente i movimenti dei muscoli implicati nella pronuncia e solo provando a farlo ci si accorge di quanta poca coscienza abbiamo di questa parte del nostro corpo.
Consiglio vivamente di leggere alcuni stralci di una Masterclass di Beniamino Gigli (fatta a Londra nel 1946, sotto trovate il link al sito), nella quale spiega con grande chiarezza il suo pensiero sull’argomento, introducendo anche un tema per me importantissimo: bisogna avere un’idea chiarissima della vocale e del suono da emettere per poter lavorare con efficacia, perché è la mente che comanda il corpo e non viceversa. Per poterlo fare serve capacità prolungata di attenzione, concentrazione, calma e presenza a sé stessi, senza i quali non si otterrà l’armonia di tutte le parti. In fondo il cantante deve dominare ed equilibrare molte forze, fisiche, emotive e mentali per poter arrivare ad esprimersi liberamente nell’arte. Questo argomento è stato trattato dai grandissimi cantanti del passato, primi fra tutti Giacomo Lauri Volpi e Beniamino Gigli, che hanno lasciato (soprattutto il primo) testimonianza del loro pensiero.
http://belcantogigli.blogspot.it/2015/07/beniamino-gigli-spiega-la-tecnica.html
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